Catastrofi e responsabilità: spunti dal terremoto giapponese

Autori

  • S. Nespor

Abstract

Il terremoto e il successivo tsunami che l’11 marzo hanno colpito il Giappone hanno suscitato un enorme impressione nell’opinione pubblica mondiale per la loro intensità (si è detto che è stato pari a molte migliaia di bombe atomiche di Hiroshima), per gli effetti provocati e per l’elevato numero di vittime.
Soprattutto ha suscitato sgomento l’entità dei danni verificatisi in un paese che è la terza economia mondiale ed è all’avanguardia nell’adozione di tecnologie e di precauzioni antisismiche: un paese che sulle precauzioni da adottare per contenere gli effetti dei terremoti ha costruito un’intera filosofia della gestione urbanistica e del territorio. 
È difficile pensare a ciò che sarebbe potuto succedere se tutte queste precauzioni non fossero state adottate e meticolosamente rispettate, soprattutto se si considera che sono attualmente in funzione oltre 50 centrali nucleari. Sotto questo profilo, può essere considerato addirittura un evento fortunato il fatto che solo una di esse abbia riportato danni tali da far temere una catastrofe radioattiva. È ben comprensibile quindi che molti dei paesi che si sono lanciati nel revival del nucleare avviatosi qualche anno fa siano stati colti da dubbi sull’opportunità delle scelte compiute (scelte peraltro già scosse dalla reale entità dei costi da affrontare, ben superiori a quelli conclamati). 
Proprio il verificarsi di una catastrofe di questa entità (e ancora non sono chiare le conseguenze dei danni provocati alle centrali nucleari) nel paese a livello mondiale più preparato a fronteggiarla induce a sviluppare alcune considerazioni.
Prima di tutto, si conferma l’infondatezza di due luoghi comuni ricorrenti in presenza di fenomeni di questo tipo: l’imprevedibilità e l’ineluttabilità delle conseguenze.
In realtà proprio il caso del Giappone dimostra che pochi eventi futuri sono prevedibili come le catastrofi. 
Secondo dati delle Nazioni Unite ogni tre settimane si verifica una catastrofe di dimensioni superiori a quelle sostenibili dal paese in cui accade; centomila persone muoiono mediamente ogni anno e un milione subiscono gravi danni. 
Altrettanto infondato è l’altro luogo comune della ineluttabilità dei danni conseguenti alle catastrofi naturali (frutto della convinzione, durata per oltre un millennio che i disastri sono la punizione di Dio per gli autori di qualche indebito comportamento. Ammoniva Nel IV secolo San Filastrio, Vescovo di Brescia che «è eresia pensare che il terremoto sia fatto non dalla volontà e dall’indignazione di Dio, ma dalla natura»).
In proposito ha osservato l’ex segretario generale delle Nazioni unite Kofi Annan che «i disastri sono un fenomeno che noi possiamo e dobbiamo ridurre al minimo [...]. I terremoti sono inevitabili, ma le vittime e i danni conseguenti non lo sono. Le inondazioni sono un evento inevitabile, ma non è inevitabile che portino con sé beni, speranze e vite umane».

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