La (perduta) memoria del terremoto: un confronto tra i danni prodotti dal sisma del 1987 e del 2012 su alcune chiese dell’Emilia

Autori

  • S. Podestà
  • S. Parodi
  • L. Scandolo
  • L. Moro

Abstract

Gli effetti traumatici che si susseguono dopo ogni evento sismico fanno emergere con assoluta chiarezza
quanto sia vulnerabile il nostro costruito esistente. Alle costruzioni storiche, più o meno antiche, realizzate
senza il rispetto di criteri che tengono conto della pericolosità sismica del sito – criteri imposti oggi
dalla Normativa o governati dalle regole dell’arte nel passato – si aggiunge la continua constatazione
dell’inadeguatezza degli strumenti che utilizziamo per cautelarci dal rischio sismico. L’evoluzione dell’ingegneria
sismica è d’altronde basata, in maniera quasi duale, sugli eventi più o meno importanti che
si sono verificati nel mondo industrializzato, alimentando la ricerca della comunità scientifica. Ogni
evento, infatti, rappresenta un test che permette di valutare la bontà dei modelli di calcolo, delle soluzioni
tecniche, permettendo di proporne di nuovi quando i risultati non sono stati congruenti a quanto
teoricamente preventivato. Fa parte ovviamente del consueto sviluppo della ricerca che ha l’obbligo di
stare sulla frontiera della conoscenza, modificare i metodi di verifica, aggiornare i parametri che entrano
in gioco. Più complessa è però l’applicazione sulle costruzioni, monumentali e non. Gli interventi che
progettiamo sono episodi che condizionano il comportamento strutturale (la risposta sismica) per un lasso
temporale molto lungo, che male si coniuga con gli aggiornamenti normativi che la ricerca accademica
può determinare. Le motivazioni sono abbastanza ovvie: da un lato la difficoltà a traghettare sul mondo
professionale i risultati della ricerca rende lento questo aggiornamento continuo, dall’altro le disponibilità
economiche limitate, completamente assorbite per gestire l’emergenza del momento non consentono
di pianificare in termini preventivi una riduzione del rischio sismico.
In questo panorama l’evento dell’Emilia rappresenta una situazione emblematica. L’azione sismica che si
è verificata sia in termini di accelerazione massima sia come contenuto in frequenza evidenzia un evento
con una probabilità di eccedenza minore di quella presa normalmente come riferimento per lo stato limite
di salvaguardia della vita. La ridotta profondità dell’evento sismico ha determinato accelerazioni verticali
comparabili a quelle orizzontali. Valori così elevati della componente sussultoria, sottolineano la necessità
di una diversa interpretazione del loro effetto in termini di spettro di risposta, rispetto a quanto ad oggi
normato. Si fa ad esempio riferimento all’invariabilità degli spettri verticali previsti dalle Norme Tecniche
per le Costruzioni (D.M. 14 gennaio 2008) per le diverse classi del sottosuolo. Da questo punto di vista
la possibilità di cautelarsi preventivamente può sembrare quasi inutile, consci delle conoscenze in nostro
possesso. In questo lavoro, invece, si è provato a dimostrare tramite lo studio di alcuni manufatti storici,
come sia possibile operare in un’ottica preventiva, cercando di capire come anche la “limitata conoscenza”
attuale sul fenomeno terremoto avrebbe potuto salvaguardare molte costruzioni, oggi irrimediabilmente
compromesse.
Lo stato di danneggiamento oggi rilevabile sulle costruzioni monumentali emiliane non può unicamente
essere imputato ad una non esaustiva conoscenza della pericolosità sismica di quelle zone: la totale mancanza
di agire in un ottica culturale di prevenzione è, ancora una volta, la prima causa della perdita nostro
patrimonio culturale.

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