“Abitare attivista” in un quartiere popolare milanese. L’esperienza del comitato Drago e del Giambellino-Lorenteggio
DOI:
https://doi.org/10.14672/ada20171346%25pParole chiave:
abitare, attivismo, case popolari, Milano, riqualificazione urbanaAbstract
La transizione in senso neoliberale che ha caratterizzato il governo dell’abitare nelle città italiane negli ultimi due decenni ha comportato un generalizzato abbandono del patrimonio di Edilizia Residenziale Pubblica da parte delle istituzioni, con un conseguente degrado delle forme dell’abitare nei quartieri popolari. In particolare, a Milano l’emergenza abitativa è stata affrontata in modo securitario e imprenditoriale, combinando espulsioni, dismissioni e processi di riqualificazione-privatizzazione della casa pubblica, colpendo le fasce più povere e deprivate della popolazione. Eppure, nonostante il persistente effetto depoliticizzante dell’abitare “pianificato”, in alcuni casi gli abitanti di questi margini urbani sono stati in grado di resistere attivamente a tali fenomeni. In questo articolo, attraverso un approccio etnografico e micro-storico, ricostruisco i percorsi di attivismo del comitato abitanti Drago del quartiere Giambellino-Lorenteggio, per indagare come alcuni suoi membri siano riusciti a organizzare un’azione collettiva contro un piano di abbattimento e ricostruzione che avrebbe investito metà dei caseggiati popolari e a rivendicare un futuro più equo. Seguendo il pensiero di Engin Isin e Jacques Ranciére, sostengo come questo sia un caso di “abitare attivista”, in cui alcune persone sono state capaci di intrecciare saperi situati e competenze tecniche per interpretare e comunicare il piano a comunità di abitanti di diversa appartenenza sociale, economica, culturale e politica, aggregandole intorno a un’istanza comune.##submission.downloads##
Pubblicato
2017-12-21
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Articoli
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