Oggetti buoni per pensarsi, oggetti buoni per mostrarsi. Riflessioni da un laboratorio etnografico di manufatti co-creati per comprendere e narrare le sospensioni corporee
DOI:
https://doi.org/10.14672/ada20223pp23-44Parole chiave:
comunicazione, cooperazione manuale, sospensione corporea, restituzioneAbstract
Nel linguaggio comune “restituire” significa dar qualcosa indietro, rendere qualcosa che in precedenza si era ricevuto. Questo dare-e-avere stabilisce relazioni, ma nella pratica etnografica chi sono le persone coinvolte? Cosa si restituisce e quando? L’etnografo, nel suo percorso sul campo, contrae una serie di debiti morali con coloro che lo accompagnano alla scoperta e alla costruzione dei dati regalando tempo e fiducia, i quali sono solitamente ripagati con la visibilità delle esperienze raccolte. L’etnografia può dunque coinvolgere altre persone, ampliando le maglie di quella relazione di doni (in termini di tempo, informazioni e attenzione) che prima era delimitata dall’esperienza di campo. Tradizionalmente queste fasi sono dominate dalle parole.
Questo articolo si basa su un’esperienza di ricerca in cui oggetti co-creati sono stati il mezzo di comunicazione privilegiata tra la ricercatrice e i praticanti di sospensioni corporee in Europa, una pratica che prevede il sollevamento di una persona attraverso ganci metallici inseriti nella pelle. I manufatti hanno costituito una sperimentazione metodologica, la concretizzazione dell’incontro con i partner della ricerca, e oggi compongono una piccola collezione che dissemina i risultati del lavoro antropologico. La riflessione proposta pone al centro la multipla valenza degli oggetti, da mezzo di comunicazione e di restituzione a breve termine sul campo, a dispositivi in grado di estendere la ricerca, e con essa i significati delle sospensioni e la voglia di essere compresi.
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