L’enigma del potere e l’abduzione di Dostoevskij
DOI:
https://doi.org/10.14672/20211840Parole chiave:
Freud; Dostoevskij; Psicologia delle masse; Identificazione; FlessibilitàAbstract
Il punto di partenza di quest’articolo è il saggio Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), in cui Freud presenta una concezione rivoluzionaria per quanto riguarda l’identità degli esseri umani: l’identità viene infatti definita mediante i processi di identificazione, dunque come una relazione tra un soggetto x, non ancora formato, e il modello grazie a cui assume una forma. Questa relazione non va confusa con la semplice empatia (a cui va l’attenzione dei cognitivisti): è invece un processo grazie al quale il soggetto è in grado di conquistare successivamente diverse forme, che possono assorbirlo o che egli può oltrepassare. Tutto dipende dalla sua capacità di non rinunciare alla plasticità delle pulsioni.
I processi di costruzione dell’identità possono svolgersi tra due soggetti individuali oppure tra il singolo e la massa. Si presenta così il problema del potere: perché le masse obbediscono a un leader? E fino a che punto può spingersi la loro obbedienza? La sudditanza al leader deriva da quella che La Boétie ha descritto come l’impulso alla «servitù volontaria»? In quest’articolo la risposta viene cercata anche in Dostoevskij, e più precisamente nella Leggenda del Grande Inquisitore (nei Fratelli Karamazov). Gli esseri umani, secondo Dostoevskij, sono «i più ribelli e nello stesso tempo i più dipendenti». Questa definizione viene collegata al concetto freudiano di Trieb (pulsione): è nella flessibilità che bisogna cercare la fonte della duplicità che ci caratterizza, e che forse non può sottrarsi a un destino aporetico.
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