Quando l’antropologia e la medicina si incontrano: potenzialità e prospettive per nuovi approcci di cura dell’anziano
DOI:
https://doi.org/10.14672/ada20221947129-135Abstract
I cambiamenti demografici che si sono manifestati negli ultimi anni e l’incremento delle patologie correlate all’invecchiamento pongono da tempo al mondo della medicina la necessità di una serie di riflessioni e cambiamenti radicali di approccio ai problemi di salute di una popolazione sempre più anziana e spesso fragile. Comunemente la terza età viene identificata con una fase di declino fisico, cognitivo ed economico, e nonostante siano stati fatti notevoli progressi nel superare pregiudizi e stereotipi basati sull’età, è evidente che un atteggiamento complessivamente discriminatorio emerge spesso e in numerose circostanze nei riguardi di soggetti appartenenti a fasce di età più avanzate. Di fatto, come ampiamente documentato dall’OMS, quello nei confronti delle persone anziane è il più diffuso e persistente atteggiamento discriminatorio e nel contempo il meno condannato. Nella società attuale, intrisa dal mito dell’individualismo, del successo, della apparenza, della giovinezza prolungata e dalla negazione della vecchiaia, l’ageismo e i comportamenti correlati vedono fondamentalmente una origine psicologica: il pregiudizio, l’ostilità e la negatività nei confronti della vecchiaia derivano dalla paura del nostro inevitabile decadimento psicofisico, della perdita dell’autonomia e della morte. Dall’altra parte, gli atteggiamenti negativi sono anche in parte effetti secondari del progresso medico e scientifico, in quanto il successo della medicina nel trattare efficacemente le malattie le ha rese croniche, e quindi caratterizzate da un declino progressivo e lento. Nel contempo, i progressi medici hanno determinato un incremento esponenziale della multimorbilità, cioè la coesistenza di numerose condizioni cliniche nel medesimo individuo, spesso di grande impatto sulle condizioni psicofisiche generali.
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